Lectio Divina - 23/6/2011

Lectio

L’Eucarestia (E) è il nucleo genetico del vangelo e della Chiesa. Il vangelo è tutta una introduzione e spiegazione del dono che Dio ci fa di sé. Mentre tutte le religioni si fondano sul sacrificio dell’uomo a Dio; il cristianesimo si fonda sul sacrificio di Dio per l’uomo. E nell’E noi ringraziamo Dio per questo suo dono. Se a partire dalla creazione Dio ci elargisce dei doni che sono l’espressione del dono di sé, nell’E Dio dona se stesso… di più non può!!! L’E è tutto e dà tutto. Ed è in vista dell’E che Dio ha creato il mondo, perché nell’E tutta la materia diventa corpo del Figlio e noi viviamo di questo corpo ed entriamo nel Figlio: diventiamo Figli. Allora tutto il creato torna nel figlio attraverso l’E. Questo è un grande mistero!!!. Si deve dire che ogni promessa di Dio nell’E diventa realtà… lì ci dà tutto. Anche la vita eterna non è altro che il vivere ciò che abbiamo vissuto nell’E: vivere la vita del/da Figlio. Attraverso l’E noi diventiamo realmente “Dio”, partecipiamo della vita del Figlio: l’uomo è ciò che mangia. Diventiamo figli per il Padre. Nell’E si rivive l’amore di Dio per noi; si vive da figlio, da persona pienamente amata e già salvata nell’E. Allora l’E è l’azione con cui Dio salva il mondo. Deve essere posta come centro fondamentale della nostra esistenza e deve sparire l’incoscienza di una celebrazione meccanica ed abitudinaria. Ciò che Dio è per natura, noi lo viviamo nell’E: assumiamo il corpo del Figlio ed entriamo nella Trinità. Ecco perché è oggettivamente la salvezza del mondo. Ricevo Dio come dono per me… grande mistero!!! L’E è la chiave ermeneutica di tutta l’opera di Dio. È questo il senso dei racconti eucaristici, sintesi di tutta la vita di Cristo, in particolare Mt 26,26ss. dove in primo luogo si sottolinea il mangiare… mangiare è vivere (Dio è vita), tutta la creazione partecipa di questa vita. Noi come la viviamo? La vita del Padre è quella di donarsi totalmente, i Figli vivono prendendo ciò che viene dal Padre: il pane. Allora si vive prendendo… Noi non siamo la vita, ma la prendiamo come dono. Ci sono due modi di prendere: con mano aperta… nel senso che accetto tutto come dono e così stabilisco una relazione di comunione con il Donatore; oppure a mano chiusa… rapisco garantendo la vita staccandola dalla sorgente, non amo più il Donatore e si pensa ad una vita eterna qui sulla terra. A conferma di tutto ciò, l’azione successiva è quella di rendere grazie… dice che apparteniamo a Lui in tutto e per tutto. In questo contesto il Padre è Colui che “Bene-dà”; i Figli coloro che “Bene-dicono”. Tutto diventa e diviene trasparenza, relazione a Lui… questa è la vera libertà! Poi spezzò e diede… chi prende tutto come dono ha la capacità di spezzare e di dare: diventa come il Padre. In questo sta l’identità del Figlio. Lo spezzare richiama la croce in un contesto in cui è difficile morire per… Abbiamo l’imperativo prendete… non temete il mio dono è per voi, ed è il mio corpo dato per voi. Si partecipa e si vive di questo Dono che il Figlio ci fa. Il corpo ha a che fare con la quotidianità, ciò significa che è il nostro corpo/quotidianità che deve diventare un sacrificio logico (Rm 12,2), perché siamo associati a questo corpo dato. Questo corpo ci fa figli e ci rende capaci di amare secondo il cuore di Dio: vivere donando. Poi prese il calice del vino… agli Ebrei è vietato bere il sangue, perché è vita. La vita appartiene solo a Dio e la vita di Dio è l’amore tra Padre e Figlio; per cui chi prende questo calice dato beve pienamente della vita di Dio… è abbeverato dello Spirito, che diventa l’agente principale nella vita di ciascuno uomo. La terza persona della Trinità ci rende seconda persona: figli. Allora diventare come Dio non è un peccato ma è un’aspirazione legittima, e contrariamente al racconto della Genesi, deve essere perseguita con i mezzi che il Padre ci mette a nostra disposizione: prendendo, non rubando/disubbidendo. L’uomo eucaristico è martire: testimone di questo amore trinitario, perché partecipiamo dello stesso amore che ha fatto donare la vita per tutti. Questa è la nuova alleanza… la novità consiste nel fatto che è un’alleanza unilaterale e qualunque cosa io faccia non si rompe mai, perché è un gesto gratuito e incondizionato: è Lui che dà la vita per me peccatore… è questa la Sua Volontà, mi tocca solo rispettarla. Anche quando gli uomini hanno trasgredito, Lui si è addossato le nostre debolezze ed ha pagato con la Sua vita. Se vogliamo questa è l’immagine più nitida del Signore: amore senza limiti e noi siamo amati senza limiti. È un sangue versato per le moltitudini… nessuno escluso! Tutto il mondo è assorbito nell’E e lo scarto che c’è da coprire tra la chiesa e il mondo è il luogo della missione. Per missione si intende il periodo della testimonianza, del martirio, del dono della vita, della comunione… non bisogna escludere nessuno. Se l’E è per tutti, noi siamo associati a questa missione per tutti. Infatti dopo l’E c’è la missione: inviati come Corpo di Cristo per il mondo intero (cfr. Atti 27, 33-38)… l’E è per tutti, necessaria per la salvezza. Bere il frutto… è il momento finale, del compimento, quando tutto il processo naturale ha seguito fedelmente le sue tappe, è ciò che Dio promette al popolo quando sta per entrare nella terra promessa. Ogni dono della terra deve essere visto come un gesto dell’amore divino. Qui si può dire che se per l’uomo il bere ha il significato di un approdo ad un “porto” sicuro; non è così per Gesù, che continuerà ad essere eterno pellegrino fino a quando non riuscirà ad incontrare l’ultimo individuo e farlo sedere a mensa con Lui nel Regno (del Padre) di Dio… allora anche Lui berrà, perché tutti sono salvati, e se vogliamo sarà l’ultimo a sedere alla mensa del Padre e a chiudere la porta (Non berrò più… se non nel Regno del Padre Mio). Ecco allora che dall’E riceviamo l’impulso ad andare verso tutti, perché Tutti sono (di) “Cristo”. C’è da precisare che noi non siamo “salvatori”, ma annunciamo agli altri la proposta di salvezza che è già avvenuta (cfr. la risposta dell’assemblea liturgica alla formula “mistero della fede” dopo la consacrazione). L’E abbraccia tutte le promesse dell’AT e il futuro che già si vive e pregusta nel presente. Nella tradizione ebraica, durante la cena pasquale, viene cantato l’inno… l’inno che si canta è il Ps 136. Questo salmo ci dice il perché dell’intervento divino nella storia: perché eterna è la sua misericordia… ciò che ha spinto Dio ad intervenire è il suo amore e nient’altro. L’E è la rivelazione piena della Misericordia Divina!!! Anche il contesto è importante: l’E è collocata tra il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e la fuga di tutti… di fronte al clima di abbandono e infedeltà, la Misericordia di Dio resta il perno, il fulcro di tutta la storia. A mò di curiosità ci viene incontro la liturgia in una formula dell’atto penitenziale: per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati... paradossalmente se non sei peccatore non lo ricevi degnamente. Chi si presenta all’E con l’animo del fariseo del vangelo di Luca, non riceve il Corpo di Cristo, perché è già perfetto ed è Dio ad imparare qualcosa da lui. Contrariamente a tutte le attese, bisogna riconoscersi peccatori, per comprendere quanto è grande il cuore di Dio e il Sacrificio della Croce. Ecco allora l’altra formula: Signore, non son degno… è necessario essere indegno, perché se si fosse degni sarebbe un qualcosa che spetta di diritto e non più un dono. Alla luce di tutto ciò, l’E deve essere considerata la chiave di tutta la Scrittura e dell’Opera Educativa di Dio… anche gli eventuali rimproveri da parte di Dio sono finalizzati a preservarci dal male, che ci toglie il gusto della vera felicità e la gioia della vita eterna.

 

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